Le tecniche

Il mondo della fisica sostiene che nell’Universo nulla può andar più veloce della luce.

Eppure l’immaginazione mia, è arrivata sulla Luna prima d’un lampo.

Imparare a essere creativi è esattamente come studiare uno sport: meglio impararlo da ragazzini, quando non si è ancora vincolati dai preconcetti, dalle abitudini, dai pregiudizi, dalla paura di sbagliare che limita la propria propensione alla sperimentazione. Ma, come per lo sport, si può apprendere ugualmente anche da adulti purchè diventi un’attività divertente e piacevole.
Nessuno vuole convincervi che diventerete geni, ma informarvi che per raggiungere un obiettivo esistono sempre dei metodi.
Imparare la creatività è esattamente come sperimentare la vostra prima guida di un’automobile. All’inizio vi sentivate goffi e “imbranati”. Dopo poche settimane di prove ed errori, operavate con discreta disinvoltura. Oggi guidate senza pensarci: processo questo che chiamiamo creatività spontanea, quella che molti di noi pensano invece che sia un dono di natura genetica.
 

I METODI
Ci vuole creatività per inventare tecniche.
Si narra che Alex F. Osborn, nel 1953 fu il primo vero studioso di tecniche. Sviluppò dei metodi utili a stimolare la generazione del maggior numero d’idee, poichè, da pubblicitario, aveva sempre la necessità di “sfornare” novità. Il primo metodo che inventò fu da lui coniato con il nome di “Brainstorming” (pioggia di cervelli).
La sua idea riscosse clamore in tutti gli Stati Uniti, e poi nel resto del mondo. Stimolati dal suo grande successo, iniziarono a seguire in cordata altri giovani studiosi. Tra questi spiccò, nel 1967, Edward De Bono attraverso la pubblicazione del pensiero laterale e successivamente dei 6 cappelli per pensare.
Ho incontrato Edward a Bologna, a uno dei suoi numerosi seminari. È una persona accademica, di grande pensiero, che nonostante il peso dei suoi anni è sempre intimamente ottimista e d’animo propositivo. I metodi di De Bono sono stati quelli che hanno ricevuto la maggior enfasi mondiale, tanto che Philip Kotler, uno dei maggiori esponenti del marketing, ha scritto l’ultima sua opera ispirandosi al pensiero laterale e intitolando il libro “Marketing Laterale”.
Ho preso spunto molte volte dai vari metodi che sono stati pubblicati, soprattutto quelli di De Bono.
Sono diverse le tecniche che si possono utilizzare per estrapolare dalla nostra mente idee fresche e interessanti. Per apprezzarne la “forza” bisogna però provarle su sé stessi. Alcune tecniche si conformano di più alla propria personalità.

 Brainstorming
È una tecnica di gruppo che ormai tutti conoscono. Una persona trascrive tutto ciò che viene detto in un’aula, all’interno della quale, si trovano un certo numero di persone, invitate a generare il maggior numero d’idee che gli vengono in mente. Regola numero uno è, quella di non dare giudizi sulla sensatezza d’ogni singola idea che emerge durante la sessione. Astenersi da critiche. L’obbiettivo è di generare il maggior numero d’associazioni possibili. È risultato statisticamente evidente che su 100 idee, ve ne sono sempre almeno un paio degne d’osservazione. Maggiore è quindi il numero delle idee raccolte, maggiore è la probabilità di trovarne una adatta allo scopo. In merito agli argomenti che il gruppo deve trattare, Osborn, ha evidenziato che vanno evitati quelli troppo generici o troppo complessi ma anche quelli “sottili” ovvero che presentano poca distanza tra il problema e la soluzione potenziale.

Freewheeling
Letteralmente “a ruota libera”. Funziona esattamente come il brainstorming, con una sola variante: non è di gruppo, ma è da farsi in solitudine. La persona deve trovarsi in un ambiente tranquillo, lontano dalle distrazioni, all’interno del quale, munito di un registratore, elenca tutti i pensieri che in quel momento gli passano per la testa, senza preoccuparsi del senso logico, della connessione con il problema principale. Anche questa tecnica è stata ideata da Osborn.

Metodo Mesh
È simile a una seduta di brainstorming, ma a differenza di quest’ultima, le persone, entrano ed escono dalla seduta a piacimento. Quando uno crede di essersi arenato, e non ricevere più stimoli, se ne ritorna al proprio lavoro fino a quando si sente di nuovo carico e pronto per ritornare alla seduta. Questo sistema, non solo consente di staccare dai loop mentali chiusi, ma di stimolare il pensiero laterale. Il metodo mesh, si differenzia dal brainstorming perché ogni persona ha una propria stanzetta (tipo cabina elettorale) all’interno della quale esprimere i propri pensieri. Un monitor posto di fronte indica le idee già realizzate. Non indica chi è l’autore, per non generare delle attività mentali di competizione inutili.

Problem Solving
Spesso si cercano nuove soluzioni a prodotti/servizi che stanno diventando comuni a tal punto che occorre differenziarli dagli altri. Spesso si cercano soluzioni a problemi quotidiani, in casa, in ufficio, nell’educazione dei figli. La ricerca di soluzioni a problemi è nota con il termine anglosassone di Problem Solving. Esistono vari metodi per cercare di trovare una soluzione ad un problema che ci assilla. La letteratura è piena di tecniche di Problem Solving. Semplificando, il concetto di base che accomuna tutte queste tecniche è quello della domanda. Porsi continue domande per stimolare una valanga di possibili risposte, come: qual è il vero nocciolo del problema? Chi potrebbe risolvere quel problema? Che cosa potrebbe sostituire il problema? Dove sta scritto che non posso applicare questo criterio a quel sistema? E così via.

 Metodo TRIZ
Sviluppata dallo scienziato sovietico Genrich Altshuller, la Triz, è una metodologia di lavoro per la risoluzione di problemi tecnici, anche se recentemente è stata applicata in altri campi. Prima di creare il metodo TRIZ, Altshuller analizzò ben oltre 400.000 brevetti. Dalla loro analisi, Altshuller notò che molte delle soluzioni geniali, adottate all’interno dei brevetti, erano in realtà soluzioni affrontate già da altri in altri campi diversi: soluzioni concettualmente identiche possono essere applicate a problemi tecnici in apparenza diversi.
In altre parole, qualcuno, da qualche parte del mondo, ha già risolto un problema simile a quello che si deve affrontare. Il buon progettista può quindi “scoprire” la soluzione, grazie ad un valido metodo progettuale e a buoni strumenti di ricerca che scovano com’è stato affrontato un simile problema in campi e settori del tutto diversi.
Altshuller individuò tre processi principali:
la quasi totalità dei problemi, e relativa soluzione, da qualche parte si sono già ripetuti (sia nella scienza che nell’industria). Tale affermazione si basa sul criterio che una tecnologia ne alimenta sempre un’altra. Pertanto, da qualche parte, in qualche campo, esiste una soluzione affine al problema cercato. Il buon progettista deve saper esplorare tutti i campi della scienza e della tecnica alla ricerca della soluzione “perduta”.
In Italia, rispetto agli altri paesi europei e agli USA, la TRIZ, è ancora poco conosciuta, mentre è iniziata a diffondersi nei paesi emergenti ed in particolare in Cina e India.
Nonostante la validità dei principi del TRIZ, il metodo si dimostra però troppo complesso per essere utilizzato da una piccola impresa. Occorre molta ricerca e investire un sacco di tempo per trovare una soluzione adeguata.

Modello Pragmatico Elementare
È un metodo inventato da Pero De Giacomo nel 1992. Il metodo ha qualche parentela con i metodi del “connessionismo” ovvero dell’utilizzo delle connessioni sinapsiche e delle reti neurali. De Giacomo ha escogitato 16 stili d’interazione “connessionistiche” che, tradotto in pratica, sono paragonati a diversi stati mentali. Questi diversi stati mentali altro non sono che 16 modi di vedere il problema sotto diversi punti di vista e utilizzare modalità diverse per affrontare la soluzione al problema. In una sorta di gioco al ping pong (alternato) tra pensiero divergente e convergente, De Giacomo, nel suo libro, spiega come affrontare un problema. Non mi dilungherò in questa sede a spiegarvi come funziona perché al contrario del nome, non è dei più semplici metodi che si possono insegnare. Rimando a chi volesse approfondire il discorso al saggio dell’autore intitolato “Mente e Creatività” edito dalla  FrancoAngeli.

Tecnica dei 6 cappelli
L’accademico Edward De Bono, ha ideato un simpatico, quanto utile, sistema per sviluppare idee. In particolare questo sistema si mostra utile se applicato all’analisi di sostenibilità sul mercato di nuovi prodotti/servizi. Il metodo è stato progettato per dividere il pensiero in sei processi, che De Bono ha definito con sei colori diversi. La tecnica dei sei cappelli può essere applicata facendo indossare un cappello per ognuno dei partecipanti della sessione creativa oppure facendo indossare un cappello per volta alla medesima persona. In questo caso, perché il sistema risulti efficace, la singola persona, deve possedere una mentalità flessibile e deve essere abile a recitare le differenti “parti”, ognuna legata a ogni singolo cappello indossato. La procedura più indicata per applicare efficacemente tale metodo, sarebbe quella di far presiedere alla seduta sei personalità diverse, ognuna adatta alla parte da sostenere.

In altre parole, chi indossa il cappello bianco, deve recitare la parte della persona oggettiva che si attiene semplicemente ai dati e non fornisce alcun giudizio. Egli è caratterialmente portato a valutare il tutto tramite l’analisi numerica dei dati o dei fatti.
Chi indossa il cappello rosso è invece la persona più impulsiva, che vive di sensazioni e fornisce un parere emotivo come l’apprezzamento estetico, l’aspetto morale, la simpatia, la sensazione epidermica.
Il cappello nero deve essere indossato dalla persona più critica, colei che motiva sempre il perché una cosa non deve essere fatta, perché non funzionerà. È la persona prevalentemente paurosa e pessimista, capace però di mettere in luce tutti i rischi che l’idea può portare con se, nonché le sue lacune.
A contrapporre le tesi del cappello nero, c’è la persona che indossa il cappello giallo: solare, positivo, ottimista, speranzoso e raggiante. È colui che si concentrerà sui vantaggi dell’idea, sul futuro della stessa. Chi indossa il cappello giallo copre una scala di valori che vanno dalla logica positiva dei fatti, ai sogni, alle fantasie e alle speranze. Il suo atteggiamento è sempre propositivo, anche se non deve mai sfociare nell’ottimistica euforia, che è prerogativa di chi indossa il cappello rosso (emozioni).
Ma il vero creativo della situazione è il cappello verde: è colui che è dotato d’immaginazione.
Per concludere, De Bono propone che qualcuno indossi il cappello blu, connesso alla persona che controllerà l’intero processo, coordinerà la seduta, l’uso dei cappelli. Chi indossa il cappello blu avrà l’onere di direttore d’orchestra ovvero di definire il problema, di mantenere la discussione all’interno dell’ambito richiesto.

Questo è uno dei metodi che consiglio di mettere in pratica soprattutto su se stessi, indossando di volta in volta uno dei cappelli. Vi permetterà di immedesimarvi e vedere il mondo sotto diversi punti di vista.

Pensiero Laterale
Il pensiero della mente umana si può suddividere in due modalità espressive diverse: il pensiero conscio e logico (chiamato anche analitico, cognitivo o verticale) e pensiero inconscio (chiamato dinamico, istintivo o laterale). Edward De Bono, definisce pensiero laterale quella forma di pensiero che, anziché seguire la strada tracciata dal problema logico, non segue alcuna strada particolare, ma ne apre delle altre, anche se queste sono apparentemente scollegate dall’oggetto iniziale. Il pensiero laterale è produttivo. Quello verticale è selettivo. Questa tecnica è essenzialmente una pratica nota alla psicologia come pensiero “divergente” a distinzione di quello “convergente”. Il pensiero divergente è una sorta d’apertura a qualsiasi cosa passa per la mente. Quello convergente è una sorta d’azione di selezione dei pensieri. A differenza del freewheeling, il pensiero laterale, non genera idee casuali ma cerca di esplorare altre vie collegate al medesimo problema.
Il pensiero laterale è un pensiero il cui meccanismo di basa sulla stimolazione di associazioni distanti tra loro. De Bono non ha saputo indicare cosa fare per stimolare volontariamente questo tipo di associazioni. Ha solamente precisato che sovente si avverte la soluzione al problema mentre si sta facendo qualcosa d’altro. Non sempre questo sistema genera idee risolutive poiché, quel che si sta facendo, potrebbe non portare alla giusta associazione d’idee. Vedremo però che con il metodo WISH sarà possibile stimolare il “pensiero laterale” volontariamente e nella giusta direzione.

WISH: il mio metodo
Per innovare un prodotto, o un processo, occorre generare delle idee che nella maggior parte delle occasioni scaturiscono sempre attraverso il meccanismo dell’associazione. L’associazione può essere spontanea, casuale, ma può, più proficuamente, essere sollecitata grazie all’utilizzazione di opportuni metodi “stimolatori”.
Ciò che andrò a descrivervi è una semplificata schematizzazione dei normali processi che la mente, di ognuno di noi, usa per risolvere problemi e trovare soluzioni. Tali processi sono stati raggruppati in due categorie:  WI (widen)e  SH (shrink). Tali categorie, consentono di stimolare, una volta la parte sinistra del nostro cervello “logico” e una volta quello destro “creativo”. Questo processo di stimolazione destro/sinistro attiva una delle funzioni più potenti del nostro pensiero creativo: il pensiero laterale. Per una approfondita lettura di questo metodo vi consiglio di leggere sia il libro “le idee che verranno” edito da Franco Angeli e “L’Ingegnere e il Poeta” edito su Amazon.