Premetto fin da subito che la presente teoria è un semplice tentativo di offrire uno strumento diverso da quelli fino a ora utilizzati, il cui scopo è di fornire un dato comparativo tra soggetti di specie diverse e non quello di quantificare l’esatto valore dell’intelligenza (pressoché improbabile). L’obiettivo è invece quello di definire quali siano le “variabili” da prendere in considerazione per stabilire il valore dell’intelligenza.
Tra tutte le abilità che ogni specie è in grado di sfoggiare, quella che più si presta a una verifica e misurazione, consenta di effettuare test in modo controllato, si presta a indicare un indice d’intelligenza in modo semplice, sia comune a qualsiasi tipo di soggetto sia esso vegetale, animale o artificiale, è la memoria, intesa come capacità di apprendimento e di recupero. Per il momento non ne ho trovate altre.
La mia definizione
L’intelligenza, in senso generale, è l’abilità di rispondere quanto più vantaggiosamente possibile a uno stimolo (interno o esterno) utilizzando allo scopo i più congruenti e appropriati contenuti della propria memoria.
In altre parole, si definisce intelligenza quell’intellegibile abilità di saper applicare creativamente e utilmente, all’interno di un contesto, ciò che si è precedentemente appreso (anche da contesti diversi), al fine di rispondere vantaggiosamente a una specifica esigenza.
L’indice d’intelligenza è quel valore attribuito da un osservatore esterno, alle abilità di apprendimento e comprensione messe in campo dal soggetto per rispondere alla richiesta. Questo valore sarà esponenzialmente tanto più elevato quanto più il soggetto dimostra d’utilizzare il maggior numero di strumenti e/o informazioni acquisite all’interno di un contesto diverso da quello in cui si trova ad applicarle per la risoluzione dello specifico problema.
Dalla definizione risulta evidente che l’intelligenza è legata all’apprendimento, alla quantità di nozioni acquisite, alla capacità di recuperarle e all’abilità di applicarle utilmente anche in contesti diversi (creatività). Si potrebbe presumere che maggiori sono le capacità acquisite tanto più elevato è il grado d’intelligenza che il soggetto è in grado potenzialmente di esprimere.
Poiché si parla di “applicare ciò che si è appreso”, è evidente che l’intelligenza diventa una capacità dai molteplici aspetti che spazia nei differenti settori dell’esperienza che ha avuto il soggetto (intelligenza multipla). Un soggetto che ha esperienza nel campo musicale, ma nessuna in quello della fisica quantistica, sarà in grado di applicare utilmente e con creatività molto di ciò che ha appreso nel suo campo d’esperienza/conoscenza (la musica) e raramente dimostrerà capacità creative in un campo a lui estraneo (la fisica).
L’aspetto multifattoriale dell’intelligenza fa capire quanto sia difficile definire un indice univoco universale (che abbia valore comparativo e sia preciso) soprattutto se rapportato alle diverse specie. Un animale può eccellere per predisposizione naturale in destrezze acrobatiche, ma non in quelle sociali, matematiche o comunicative. Un altro animale può essere esattamente l’opposto del primo. La difficoltà sta quindi nel trovare il giusto campo di attività dove le specie dimostrano di avere le medesime capacità espressive e conoscenze. Purtroppo per gli amanti della precisione questo campo non esiste nel mondo della misurazione dell’intelligenza. Ci si deve quindi accontentare di un indice tutt’altro che puntuale.
L’intelligenza della memoria
La memoria è l’elemento fondamentale dell’essere intelligente di qualsiasi specie. E non mi riferisco alla sola memoria accumulata dall’esperienza del vivere quotidiano. Nemmeno mi riferisco alla sola memoria genetica (cosiddetta istintiva) e neppure a quella di “massa” dei computer. Mi riferisco all’uso della memoria in senso più generale, come serbatoio di “recupero” che aiuta il soggetto alla sopravvivenza o alla risoluzione di un problema (desiderio, pulsione, spavento ecc..). Senza memoria non potremmo mai adattarci all’ambiente e neppure “campare”.
La memoria si differenzia principalmente per due aspetti: come funziona e come viene utilizzata.
Sul come funziona, ben nota ai neuroscienziati o agli esperti di calcolatori, mi limito a dire che esistono due principali meccanismi di funzionamento:
- memoria temporanea ovvero quella di breve termine;
- memoria permanente ovvero quella di lungo termine.
L’intelligenza, nella sua globalità, è legata sia alla memoria temporanea che a quella permanente. Maggiore è il tempo e il numero delle informazioni che rimangono in memoria (sia nel breve termine che nel lungo termine) maggiori sono le probabilità che tali informazioni possano emergere ed essere riutilizzate proficuamente per aumentare le proprie capacità di risoluzione dei problemi nell’istante in cui servono per svolgere un compito, soddisfare un bisogno, rispondere ad una richiesta, adattarsi all’ambiente o perseguire un obiettivo.
Ovviamente le specie, che non hanno la capacità di accumulare memorie dall’esperienza, (vedi la mosca, per esempio, che nonostante l’abbia scampata dall’essere uccisa dalle mie mani, ritorna nello stesso luogo del pericolo) risultano meno intelligenti di quelle che hanno sviluppato un’estesa memoria permanente (come l’essere umano). Poiché gli elementi memorizzati per apprendimento nella memoria a lungo termine passano sempre prima per quella temporanea, per il calcolo del IDS non ci si deve soffermare sul semplice numero di elementi che il soggetto è in grado di memorizzare come risulterebbe da un test di memoria.
Poiché non è così rilevante sapere se un determinato dato è memorizzato nella memoria a breve o a lungo termine, mi soffermo su un aspetto di vitale importanza: sul come la memoria viene utilizzata nell’ambito dell’intelligenza. Senza sembrare troppo superficiale, potremmo dire che la memoria viene utilizzata in due modi:
- per l’apprendimento
- per la comprensione
Apprendimento
Nessuno sopravvive in un habitat mutevole, senza alcun tipo di meccanismo di apprendimento (istintivo, ereditario o cognitivo che sia). Pure le piante apprendono mutazioni del loro ambiente anche se per lo più per via genetica ed ereditaria. Del resto non esisterebbero scale gerarchiche sociali, tribù e capo branchi se non ricordassimo chi comanda, quali sono i propri genitori, i figli o i propri nemici.
Molte informazioni fanno parte del nostro bagaglio genetico, altre si apprendono per emulazione, (come l’uso di strumenti o di comportamenti,… ), o per semplice associazione (casuale, diretta o indiretta).
Con apprendimento intendo riferirmi all’acquisizione dei diversi aspetti che coinvolgono il soggetto, come per esempio la comunicazione (verbale e non), l’aspetto motorio, quello cinestesico, quello emotivo, eccetera.
L’apprendimento è una questione piuttosto complessa che comprende processi d’identificazione, classificazione, associazione e attribuzione di significato. Probabilmente è proprio l’incapacità di attribuire un significato alle informazioni, molto naturale nelle specie animali, la causa di così poca intelligenza espressa dai sistemi vegetali e dagli attuali sistemi artificiali.
Il rinforzo è un concetto essenziale (legato alla variabile tempo), sia esso definito come apprendimento per ripetizione o per effetto altamente emotivo, in quanto senza rinforzo ogni informazione tende, soprattutto nella specie animale, a estinguersi. Nei sistemi vegetali sono le mutazioni genetiche a rinforzare la “memoria” di queste specie. E’ evidente che il rinforzo negli animali è legato alle necessità dell’individuo e dalle sue motivazioni (desideri primari e superiori).
Un soggetto si può anche istruire da solo attraverso gli effetti (il feedback) che riceve dall’ambiente, ma per verificare l’intelligenza di un soggetto occorre un metodo di controllo che solo una persona esterna (l’esaminatore) può mettere in pratica. Pertanto per calcolare un IDS occorre prendere in considerazione l’apprendimento per somministrazione controllata.
L’apprendimento è un’attività che viene prima della comprensione, basandosi quest’ultima su ciò che è stato appreso.
Si definisce indice di apprendimento, (che è un primo indice di valutazione dell’intelligenza) il numero R(a) delle informazioni che un soggetto è in grado di dimostrare di aver acquisito, all’interno di un contesto (a) rapportato al numero S(a) di nozioni somministrate dall’istruttore all’interno del medesimo contesto.
Con S(a) s’intende il numero complessivo delle informazioni somministrate durante l’allenamento nel contesto (a).
Con R(a) s’intende il numero complessivo delle informazioni appartenenti a S(a) , recuperate dalla memoria del soggetto, dopo la somministrazione, in un test di memoria effettuato all’interno del medesimo contesto (a) .
Learning index LI(a)= R(a)/S(a)
Poiché non tutti siamo portati a esprimerci in egual misura in campi diversi delle attività, esisteranno tanti valori di Lia quanti sono i differenti settori dell’attività del soggetto (intelligenza multifattoriale): sociale, linguistica, visivo/spaziale, logica, cinestesica/sensoriale, motoria, emotiva ecc….
Si potrebbe risolvere il problema attraverso un tedio lavoro di allenamenti mirati nei diversi campi di attività per ricavarne un valore medio (una sorta di QI generale ricavato dalla media dei valore LIa )
LI(a) = Σ LI(a)
Comprensione
Se da una parte è di vitale importanza l’esistenza di un processo d’apprendimento (d’immagazzinamento o di input) dall’altro quest’ultimo processo sarebbe perfettamente inutile se non fosse stato creato un processo inverso ovvero quello di estrazione (di output dal temporaneo e/o dal permanente) delle informazioni apprese. Se l’apprendimento comprende processi d’identificazione, classificazione, associazione e attribuzione di significato, quello della comprensione comprende invece processi di astrazione, concettualizzazione, introspezione, meditazione, rievocazione, connessionismo, immaginazione, supposizione, aspettativa, progettazione e molti altri complessi meccanismi mentali.
Possiamo dire che l’intelligenza si esprime nella sua magnificenza quando dalla mole d’informazioni apprese, vengono estratte quelle sole informazioni utili e pertinenti a risolvere un problema nuovo, ovvero l’uso di informazioni non appartenenti direttamente al medesimo contesto all’interno del quale sono state memorizzare. Questo lega l’intelligenza alla capacità di recupero (all’interno dell’universo di dati memorizzati dal soggetto) di quelle sole informazioni pertinenti alla risoluzione del problema all’interno di un contesto completamente diverso da quello di acquisizione. La questione si sposta dai dati memorizzati, al come il “soggetto” (o sistema, nel caso della IA) sia in grado di recuperare e utilizzare le memorie pertinenti a risolvere un problema derivato da una situazione del tutto nuova, non nota a priori.
Tutti sappiamo quanto un sistema d’intelligenza artificiale (computer) abbia un’elevata capacità di memoria e tempi d’acquisizione brevissimi. Se misurassimo l’intelligenza basandoci solamente sugli elementi che il sistema è in grado di estrapolare all’interno di un contesto noto al computer, ne ricaveremmo che l’intelligenza dell’IA supererebbe quella dell’uomo. Peccato che non sia ancora in grado di “estrapolare” informazioni pertinenti alla risoluzione di problemi in ambienti diversi dai quali è stato programmato.
Nell’addestramento degli animali, quante più attività diversificate vengono sottoposte all’animale, tanto maggiore è la probabilità che tale animale mostri capacità intellettive superiori (se confrontato con altri animali che non hanno mai ricevuto questo tipo di addestramento) quando esso si trova a risolvere un problema mai affrontato prima. Le abilità apprese durante l’addestramento fanno si di creare nella memoria di tale soggetto una serie di conoscenze strumentali che gli consentono di utilizzarle anche in contesti diversi da quelli per i quali è stato addestrato. Si, perché la conoscenza è uno strumento usato per risolvere un problema o rispondere ad uno stimolo.
Se facessi apprendere al mio cane una serie di nozioni legate a una specifica serie di compiti (fermati, seduto, salta, scava, cerca l’osso, sdraiati ….) e poi analizzassi quante di tali nozioni apprese è portato ad utilizzare per svolgere il medesimo compito avrei semplicemente realizzato un test di memoria e apprendimento (il livello minimo d’intelligenza) che non ha proprio a che vedere con la presente definizione di “comprensione”. Con comprensione non intendo “capire” il significato dei comandi che gli impartisco, ma intendo qualcosa di più complesso.
La mosca sembra non possedere una memoria permanente visto che dopo essere scampata da una mortale sberla, ritorna a posarsi nello stesso punto. Tutto quello che ha in memoria è di tipo genetico (e istinto). Il cane che è più intelligente della mosca, memorizza facilmente molte più informazioni (suoni, soggetti o stimoli fisici) soprattutto se messe in relazione a premi o punizioni. A differenza della mosca, il cane è in grado di utilizzare comportamenti appresi in contesti diversi. Dal suono della voce del padrone è in grado di capire quando stare zitto anche in contesti diversi dal primo imprinting vocale. A differenza dell’uomo, il cane, non ha memoria storica di ciò che ha fatto poche decine di minuti prima. Infatti egli difficilmente apprende di aver commesso una marachella se la punizione non è temporalmente legata al momento in cui si svolgono i fatti. Noi esseri umani abbiamo ricevuto il dono di saper utilizzare con maggior destrezza le nozioni apprese in un contesto per risolvere problemi diversi in contesti diversi.
Pertanto l’indice di comprensione è legato al numero F(y) delle informazioni (estrapolate dal soggetto e identificate dall’esaminatore) che un soggetto è stato in grado di recuperare dal numero R(a) di nozioni acquisite (somministrate dall’esaminatore all’interno dei vari contesti), nel tentativo di assolvere ad attività inerenti ad un nuovo contesto (y).
Con R(a) s’intende il numero complessivo delle informazioni apprese e memorizzate per somministrazione S(a) all’interno dei diversi contesti (a) di addestramento.
Con F(y) s’intende il numero complessivo delle informazioni appartenenti a R(a) , utilizzate dal soggetto per risolvere un problema in un nuovo contesto (y).
Understanding index UI = F(y) /R(a)
Potremmo chiamare l’indice di comprensione anche come indice di “creatività” essendo questo la capacità di usare ingegno e libera fantasia per risolvere problemi.
Calcolo dell’indice d’intelligenza IDS
L’indice dell’intelligenza di una specie è il prodotto, dell’indice delle capacità di apprendimento e comprensione:
IDS = LI* e(k*UI) = R/S *e(k*F/R)
dove K=4,60517. Il valore K si ricava ponendo IDS=100 (massima intelligenza) per un LI=1 e UI=1.
In altre parole l’IDS è il prodotto dell’indice di apprendimento esponenzialmente elevato all’indice di creatività.
Anche se l’indice d’intelligenza è stato concepito per valutare l’intelligenza tra soggetti di specie diverse (IDS) in verità tale formula si presta (probabilmente con qualche ritocco) anche per valutare l’intelligenza tra soggetti della stessa specie (ISS). Rispetto all’attuale QI, tale indice è in grado di fornisce una più profonda corrispondenza dell’intelligenza umana secondo la definizione di Gardner (intelligenze multiple) .
Vediamo un grafico della funzione IDS
Si ipotizza di somministrare 10 nozioni, cioè S(a)=10. Occorre sapere che né R(a) né F(y) potranno mai assumere un valore superiore a quello di S(a). Ecco allora come varia l’IDS al variare di F(y) e R(a). Sulle ordinate viene riportato il valore di IDS mentre sulle ascisse quello diF(y)