Quando ho iniziato a studiare, cercando di capire cosa fosse l’intelligenza, mi è sembrato subito chiaro quanto questa “parola” assomigliasse per analogia a un sito web di social network: tutto dipendeva da quale punto di vista lo si osservava. Per l’impatto sociale che un social network provoca? Per quello economico? Dal punto di vista della navigabilità e usabilità? Per le annose questioni sulla privacy? Oppure dal punto di vista della struttura hardware necessaria per farlo funzionare?
Un aspetto, quello dell’intelligenza, che analogamente si può osservare da diverse prospettive: dal punto di vista genetico; ereditario; cognitivo; ambientale; sociale; culturale; del genere umano; animale; vegetale; artificiale … solo per citarne alcuni.
Basta fare una ricerca su Internet per trovare migliaia di opinioni diverse. Se si leggono attentamente, si comprende come il “concetto” d’intelligenza venga descritto sia come una proprietà (la qualità propria e particolare che un essere o specie ha per sua natura e per cui si distingue da altri esseri o specie) sia come una capacità ovvero all’idoneità, all’abilità, all’attitudine che uno o più soggetti hanno d’intendere o di fare qualche cosa, di svolgere una funzione, di riuscire nella realizzazione di un compito. Basta questo a far capire quanto il termine “intelligenza” risulti concettualmente così ampio da non consentire una chiara e univoca definizione della parola. Vedremo che non è cosi.
Definizione
Uno sguardo al vocabolario: una serie di operazioni della mente come :
- il ragionamento,
- la capacità di fare valutazioni,
- la capacità di ottenere uno scopo scegliendo i mezzi appropriati,
- la capacità di correggersi,
- Problem solving.
Per Wikipedia: L’intelligenza è il complesso di tutte le funzionalità e abilità psichiche e mentali che permettono ad un soggetto (individuo o animale) in primo luogo di capire, ovvero di giungere autonomamente a delle conoscenze fattive per merito di proprie elaborazioni d’informazioni. Come implica la definizione suddetta, l’intelligenza è alla base dell’esecuzione buona di tutte le attività della mente che comportino un “lavorare sulle informazioni che si possiede per andare oltre”
Noterete che in quest’ultima definizione si parla di “mente” ovvero della sede in cui ha luogo l’attività di pensiero (la testa, il capo) e quando si parla di capo, testa o cervello si escludono automaticamente dalla definizione tutti gli esseri vegetali, unicellulari e quelle specie che non hanno un cervello. Eppure, come vedremo, studi scientifici hanno attribuito intelligenza anche ai batteri e alle piante.
Ma da dove deriva la parola intelligenza? La parola deriva dal latino intelligentia, a sua volta derivata dal verbo intelligere, “capire” che sarebbe poi una contrazione del verbo latino di “leggere”, con l’avverbio intus, “dentro”. Chi aveva intelligentia era dunque qualcuno che sapeva “leggere-dentro“.
A quei tempi, per Platone, l’intelligenza era ciò che distingueva le diverse classi sociali tra loro ed era distribuita da Dio in maniera diseguale. Un processo della mente, che si pensava fosse prerogativa del genere umano, l’unico in grado di usare un linguaggio articolato, regole sintattiche e strumenti. Poi si è scoperto che anche gli animali, a modo loro, possiedono molte di queste capacità. Così come si pensava che gli esseri umani fossero gli unici animali capaci di fare i calcoli matematici. Poi sono nate le calcolatrici con le quali è stato impossibile competere. Oggi, invece, la definizione più ricorrente tra gli scienziati è di considerare l’intelligenza una capacità di adattamento all’ambiente e di risoluzione dei problemi.
Molti scienziati aderiscono alla definizione generale d’intelligenza = funzione mentale che comporta la capacità di ragionare, pianificare, risolvere problemi, pensare in maniera astratta, comprendere idee complesse, apprendere rapidamente e apprendere dall’esperienza capire ciò che ci circonda, afferrare le cose, attribuirgli un significato, o “scoprire” il da farsi.
Cos’è l’intelligenza
Per William Stern, l’intelligenza è la capacità generale di adattare il proprio pensiero e condotta di fronte a condizioni e situazioni nuove .
S. Legg e M. Hutter, nel tentativo di formulare un enunciato universale, formularono ben settanta definizioni diverse che sintetizzarono in: l’intelligenza è la misura della capacità di un agente di raggiungere obiettivi in una varietà ampia di ambienti.
Édouard Claparède vedeva l’intelligenza, invece, come la capacità o disposizione a utilizzare in modo adeguato allo scopo tutti gli elementi del pensiero necessari per riconoscere, impostare e risolvere nuovi problemi.
C’è chi, come Spearman, sosteneva che l’intelligenza del genere umano fosse una proprietà rappresentabile attraverso un modello unico, sottolineando che alla base di tutte le operazioni mentali c’è sempre una intelligenza generale che interviene in tutte le attività umane.
Al contrario c’è chi, come Howard Gardner, psicologo americano, considera l’intelligenza un aspetto multifattoriale. Egli si è sempre opposto alla concezione d’intelligenza come un fattore unitario misurabile tramite il QI, sostituendola con una definizione articolata in sottofattori differenziati. Gardner è considerato uno dei teorici dell’intelligenza fattorialista, in contrapposizione con i teorici globalisti.
Infatti, per Gardner ogni persona è dotata di almeno dieci intelligenze di tipo diverso, ovvero dieci modi differenti di mostrare le proprie capacità intellettive, ognuna deputata a differenti settori dell’attività umana:
- Intelligenza logico-matematica
- Intelligenza linguistica
- Intelligenza spaziale
- Intelligenza musicale
- Intelligenza cinestetica o procedurale
- Intelligenza interpersonale
- Intelligenza intrapersonale
- intelligenza naturalistica
- intelligenza etica
- intelligenza filosofico-esistenziale
Gardner fu il primo psicologo a parlare d’intelligenze multiple, convinto che fosse errato ritenere, come Spearman, una proprietà che potesse essere misurata e ricondotta a un singolo modello o a un unico numero.
Per Wechsler (orientamento psicometrico) l’intelligenza è “la capacità di produrre un comportamento adattivo e funzionale al raggiungimento di uno scopo”.
Per Piaget (orientato verso la creazione di una teoria unitaria, nel suo caso l’epistemologia genetica) l’intelligenza è la capacità dell’individuo di arrivare a una sempre migliore comprensione e ad un sempre migliore adattamento con la realtà. Piaget, attraverso lo studio dei bambini, spiega lo sviluppo mentale attraverso un principio che caratterizza l’evoluzione biologica (da neonato ad adulto) di tutti gli organismi viventi, secondo il quale le strutture interne all’organismo si modificano continuamente per assolvere nuovi bisogni, o precedenti, ma in condizioni mutate. Queste modificazioni sono il risultato dell’interazione continua tra organismo e ambiente mediante il processo di assimilazione e accomodamento. L’assimilazione avviene ogni volta che il soggetto incorpora nelle proprie strutture un elemento esterno, oppure interpreta l’esperienza nei termini delle strutture di cui dispone. L’accomodamento consiste nella modificazione delle strutture interne in funzione delle caratteristiche della realtà assimilata. Gli scambi con l’ambiente sono adattivi giacché realizzano un equilibrio tra il bisogno di assimilazione, cioè di applicare le strutture possedute, e l’esigenza di accomodamento, cioè di modificarle in funzione di nuove situazioni: l’assimilazione tende alla conservazione, l’accomodamento tende alle novità. Lo sviluppo dell’intelligenza è per Piaget descritto attraverso le modificazioni strutturali che avvengono nel passaggio da uno studio al successivo. A ciascuno stadio di sviluppo corrisponde una particolare forma di organizzazione psicologica, con i propri contenuti, conoscenze e interpretazioni della realtà.
Per lo psicologo americano Robert J. Sternberg, invece, il pensiero umano si fonda su tre tipi d’intelligenze fondamentali: quella analitica, quella pratica e quella creativa. Il pensiero analitico si distingue per la capacità di scomporre, confrontare, esaminare, scendere nei dettagli, giudicare, valutare, chiedersi e spiegarsi il perché, spiegarne le cause. L’intelligenza pratica si mostra nell’abilità di usare strumenti, di saper organizzare, attuare progetti concreti, dimostrare come si fa. La dimensione creativa è caratterizzata dall’intuizione, dal saper ipotizzare e immaginare, dall’abilità di saper inventare e produrre qualcosa di nuovo.
Tipi d’intelligenza
Molti teorici evoluzionisti ritengono che l’intelligenza si evolva con l’ambiente, mentre i connessionisti sono convinti di avere identificato le unità e i processi fondamentali che svolgono il lavoro dell’intelligenza. I neurobiologici studiano l’origine chimica delle emozioni, della memoria e delle connessioni tra circuiti complessi di neuroni e sinapsi. Alcuni di loro sono convinti che reti neurali artificiali forniranno la soluzione per il futuro dei computer. Pertanto esistono nel mondo scientifico interessi convergenti sugli studi di questa abilità della mente.
Un aspetto risulta alquanto evidente: le definizioni sembrano, da sempre, prendere in esame per lo più la sola intelligenza umana, tenendosi a debita distanza dal tentativo di fornire una definizione più ampia ed esaustiva che desidererebbe includere, non solo esseri umani, ma anche specie animali, vegetali e artificiali. Eppure esistono diversi studi sull’intelligenza animale e su quella artificiale, ma pare che nessuno di questi studi sia riuscito a “carpire” il segreto che lega tra loro le varie intelligenze per giungere a una definizione soddisfacente.
Giorgio Vallortigara esplora da sempre l’intelligenza attraverso l’osservazione degli animali. Tutti gli organismi viventi sono equipaggiati di un insieme di capacità di apprendimento. Alcune di queste si sono evolute per far fronte a problemi di adattamento, come per esempio la capacità di cogliere le regolarità degli eventi (definito apprendimento non-associativo) o le relazioni di causa-effetto (apprendimento associativo). Recenti studi di Vallortigara suggeriscono che anche le forme più complesse dell’apprendimento e della memoria umana (per es. le memorie cosiddette “dichiarative” e “episodiche”), che si ritenevano essere strettamente associate ai soggetti che possiedono un linguaggio verbale e articolato, sembrano avere degli equivalenti in altre specie. Ciò pone il problema del ruolo del linguaggio nei processi d’apprendimento e nell’attività cognitiva in genere.
Per Vallortigara l’intelligenza è la manifestazione di un insieme di capacità adattative, derivate da processi di selezione naturale. Alcune specie animali dimostrano di possedere complessità cognitive anche superiori a quelle dell’essere umano. Ad esempio, alcune specie di corvidi hanno capacità di memoria spaziale superiori alle nostre. I piccioni son più veloci degli esseri umani nel riconoscere immagini ruotate. Gli scimpanzé hanno una memoria visivo-spaziale superiore alla nostra. La nocciolaia è un uccello capace di nascondere migliaia di nocciole nel bosco e di ricordare a distanza di diversi mesi la posizione esatta di ciascuna nocciola. Compito davvero impossibile per un essere umano. La nocciolaia possiede l’area cerebrale deputata alla mappatura molto sviluppata. Proprietà che riscontriamo in parte anche nei tassisti, i quali hanno le stesse necessità di ricordare le vie e riconoscere dai riferimenti visti, i luoghi che stanno cercando.
Anche l’essere umano ha delle specializzazioni che non hanno eguali negli altri animali, come il linguaggio, in possesso di una sintassi e di una grammatica, che rende incredibilmente potente il sistema linguistico umano, tanto da consentirci di dislocare i pensieri dal substrato biologico, per inserirlo all’interno di libri, nelle comunicazioni e nella convivenza sociale.
“Il problema della ricerca con gli animali” – prosegue Vallortigara – “è che essi non possono descriverci i loro processi mentali. In via sperimentale è necessario ideare test e prove le quali dimostrino che, non solo gli animali sono in grado di compiere determinati compiti, ma che le loro azioni non siano frutto di abitudini innate (istinto), ossia geneticamente predeterminate, ma di un ragionamento autonomo e individuale. Occorre inoltre verificare che l’animale abbia quella che potremmo definire un’immagine mentale, un’idea rappresentativa del reale e che non risponda meccanicamente a una serie di azioni” (quella che si definisce un’intelligenza procedurale, analoga a quella di un computer che segue una logica, ma non è consapevole di farlo). “Vale a dire che l’animale – per esempio il gatto che miagola davanti al frigo per avere il cibo – deve dimostrare sperimentalmente di conoscere e autorappresentarsi dove sia il cibo, che cosa ci sia dentro il frigo, ossia di quale cibo si tratti, e quando sia possibile averlo. In altre parole, deve dimostrare di possedere delle idee, delle rappresentazioni mentali sufficientemente complesse della realtà. Se il gatto si comportasse semplicemente per aver costatato di ricevere del cibo dopo un certo comportamento (es. miagolando insistentemente), più che di vera intelligenza dovremmo parlare di una procedura automatica, certo efficace, ma una semplice procedura, non l”intelligenza’ che ci interessa e che riteniamo analoga a quella umana.”
Stefano Mancuso, studia, invece, l’intelligenza delle piante. Autorità nel campo della neurobiologia vegetale, Mancuso, ha dimostrato che le piante possiedono tutti e cinque i sensi (e non solo) dei quali è dotato l’uomo: vista, udito, tatto, gusto e olfatto. Ognuno sviluppato in modo «vegetale», ma non per questo meno affidabile. Nelle piante, tali sensi sono estremamente più sensibili e, oltre ai cinque sensi dell’essere umano, ne posseggono almeno un’altra quindicina. Mancuso parte dal presupposto che la pianta è l’essere vivente, numericamente più numeroso, che popola la Terra da milioni di anni (ancora prima dell’essere umano) e più di tutti ha dovuto adattarsi ai diversi mutamenti ambientali, risolvere problemi, studiare strategie di sopravvivenza (come racconta nel suo gradevole libro “Verde Brillante”).
Nelle piante, l’intelligenza non è una proprietà “concentrata” in un singolo organo (il cervello) ma è una proprietà distribuita. Un sistema distribuito garantisce loro una maggior sicurezza di sopravivenza. Non è un caso se le piante siano i “soggetti” più diffusi sulla terra e quelli che hanno sofferto meno dei disastri ambientali. Nelle piante ogni elemento (foglie, rami, radici) può lavorare indipendentemente dagli altri e ciò la rende relativamente insensibile ad eventuali danni di parti di essa: funziona con il principio della vecchia “Arpanet”, oggi Internet, utilizzata dalle forze americane per gestire la comunicazione tra le forze militari anche in caso di guerra nucleare e distruzione di qualche città. Il sistema distribuito consente alla pianta di espandersi con maggior flessibilità, dato che eventuali nuovi elementi possono essere aggiunti senza limite. Al contrario un sistema centralizzato può crescere in “comunicazione” ma non può aggiungere (nell’arco della singola vita) altre unità e fisicamente espandersi. Può al più trasformare un’unità in un’altra.
Nell’uomo, come in tutti i mammiferi, l’intelligenza è per lo più concentrata in una singola unità chiamata cervello, anche se in realtà la natura del cervello è da considerarsi una struttura mista, composta da singole unità specializzate. Uno dei motivi per cui tali singole unità sono state assemblate in un unico contenitore è dovuto principalmente al principio naturale di economicità essendo i circuiti di collegamento tra le varie unità più corti e la comunicazione più veloce con minor dispendio di energie e maggior efficienza.
Pare, inoltre, che la centralizzazione dell’intelligenza sia, in natura, più consona ai soggetti che debbano fisicamente “muoversi” all’interno del proprio ambiente mentre quella distribuita sia stata adottata dai soggetti che non sono in possesso di questa mobilità.
Infine, c’è chi studia l’intelligenza dal punto di vista computazionale ovvero l’intelligenza artificiale (IA). Con questo termine s’intende l’abilità di un computer di arrivare a svolgere ragionamenti simili alla mente umana. L’IA è una disciplina molto dibattuta tra scienziati e filosofi, la quale manifesta aspetti sia teorici che pratici. Dal punto di vista puramente informatico, essa comprende la teoria e le tecniche per lo sviluppo di funzioni matematiche e logiche (algoritmi) che consentano alle macchine che trattano solo dati digitali, di mostrare un’abilità e/o attività intelligenti, almeno in domini specifici.
Rodney Brooks, scienziato australiano, direttore del laboratorio d’informatica e intelligenza artificiale del Massachusetts Institute of Technology (MIT) , è uno dei tanti studiosi di robotica, noto per i suoi contributi nello studio dell’intelligenza artificiale. Brooks si oppone all’idea d’implementare una complessa rappresentazione del mondo esterno che faccia agire un robot secondo lo schema senti-pianifica-agisci, sostenendo che un robot può avere tutt’al più un comportamento assimilabile a forme di vita relativamente semplici come gli insetti.
Marvin Minsky e´ invece, uno scienziato che ha fornito contributi importanti nel campo della psicologia cognitiva, della matematica, della linguistica computazionale, della robotica e dell’ottica. Negli ultimi anni ha soprattutto lavorato per dare alle macchine la capacità umana di ragionare. Secondo Minsky, per ottenere un sistema intelligente, bisogna combinare insieme diversi metodi, che devono interagire fra loro. Per Minsky non esiste un sistema artificiale intelligente provvisto di un’unica struttura centrale responsabile del pensiero ma tante unità specializzate che dialogano tra di loro.
Potremmo andare avanti con altre migliaia di pagine, ma credo che arrivati a questo punto, è comprensibile a tutti che, anche dopo centinaia di anni di studi, non siamo ancora arrivati a una definizione esaustiva di che cosa sia l’intelligenza e tantomeno a una definizione universalmente riconosciuta. I dibattiti sono ancora aperti.
E non c’è da meravigliarsi. Attraverso dei test è stato possibile verificare una risicata parte del quoziente intellettivo di due identici soggetti. E’ praticamente impossibile, invece, rilevare un quoziente d’intelligenza sottoponendo a due specie differenti il medesimo test (il cane e l’uomo, a titolo di esempio) . In un test di logica, prevarrebbe l’uomo sul cane. In quello dove l’olfatto è lo strumento cardine del test, avrebbe la meglio il cane. Per non parlare di test di memoria e calcolo dove avrebbe la meglio il computer sull’uomo.
In realtà ci aveva provato Turing a dare una definizione d’intelligenza tra due sistemi di specie diversa: l’essere umano e il computer. Turing stabilì che una macchina (computer) è intelligente quando, collocata in una stanza diversa da quella di un essere umano, un esaminatore esterno, senza sapere in quale stanza si trovasse il Computer e l’essere umano, rivolgendo loro delle domande tramite un terminale, non riusciva a distinguere la macchina computazionale dall’essere umano. Si conclude che la prima si è comportata esattamente come un essere umano.
Come altri studiosi, ritengo che la definizione di Turing – utilizzata per distinguere due diversi soggetti (che non siano solo un computer e uomo) sia viziata da due aspetti:
- si presuppone che la definizione d’intelligenza di un soggetto è stabilita dal “confronto” con l’essere umano. L’esaminatore si aspetta dalla macchina intelligente delle risposte congruenti al proprio modo di pensare (da essere umano). Questo tipo di esame, che si basa sulla comunicazione, fa tabula rasa su tutti quei soggetti viventi come animali e piante che non sarebbero, nonostante esseri intelligenti, in grado di superare il test;
- l’esaminatore esterno esprime il proprio giudico in base alle risposte scritte che appaiono sul suo terminale. Pochi, se non il solo essere umano, sono in grado di comunicare usando allo scopo terminali elettronici.
Quando dobbiamo valutare l’intelligenza, noi esseri umani, siamo calamitati e attratti da una visione homo-centrica.
Spesso riconosciamo un soggetto diverso da noi intelligente quando:
- capisce ciò che gli abbiamo detto e si comporta secondo l’aspettativa umana;
- il soggetto (non umano) esegue un compito che noi esseri umani non ci saremmo mai aspettati fosse in grado di fare;
- esterna atteggiamenti “emotivi” di gratificazione nei confronti dell’essere umano
Un altro dei problemi che ci si pone nell’ambito della definizione del termine intelligenza è anche il livello, sopra o sotto il quale, un soggetto è da considerarsi intelligente.
Mi spiego meglio. Un animale che acquisisce una risposta automatica (si vedano gli esperimenti di Ivan Pavlov sugli animali) quanto è da considerarsi intelligente? La capacità di adattarsi all’ambiente è da considerarsi espressione d’intelligenza? Molti dicono di si. Allora, dobbiamo considerare anche l’atomo un soggetto intelligente?
Un atomo, dal punto di vista fisico, può essere sollecitato da una fonte di energia. Dal punto di vista comportamentale, gli elettroni sensibili assorbono quell’energia (lo stimolo ambientale) reagendo e balzando da un livello orbitale a un altro per poi ritornare allo stato iniziale rilasciando energia sotto un’altra forma (reazione). Quello dell’atomo è a tutti gli effetti un processo di adattamento all’ambiente che consente all’atomo stesso di rispettare la regola della sopravvivenza (ritorno al suo stato iniziale di equilibrio). Per altri versi, sembra un processo automatico, in possesso di una memoria (lo stato di stabilità) ma senza l’intervento di alcun processo di “riflessione”.
Dobbiamo ancora considerare che questo processo di adattamento all’ambiente una dimostrazione d’intelligenza? Sarebbe più giusto affermare che esiste un livello d’intelligenza di basso livello (istintivo, automatico, geneticamente ereditato) e delle intelligenze di livello superiore? Se mai esistesse questa distinzione come misurare il livello del QI di un soggetto?
Osservazioni
Partendo da questi punti di osservazione, alcuni aspetti risultano a me evidenti:
l’intelligenza è una capacità che per essere riconosciuta deve necessariamente manifestarsi e questo implica che la valutazione di tale proprietà è intrinsecamente connessa tra chi la trasmette e chi la rileva e dalla comprensione tra i due soggetti nell’ambito della comunicazione. E poiché, siamo solo noi esseri umani, a occuparci, su questa Terra, di tale proprietà, è evidente che molti aspetti dell’intelligenza vengono spesso rilevati per comparazione con quella della nostra specie e questo rende difficile una concreta e oggettiva valutazione.
La stima del livello d’intelligenza di un soggetto, deve essere distinta in due categorie: quella misurata tra soggetti della medesima specie ( intelligence of the same species – ISS ) e quello misurato tra soggetti di specie diverse (intelligence of different species – IDS). L’ISS serve a stabilire all’interno della medesima specie chi è più intelligente dell’altro, mentre l’IDS serve a stabilire quale tra le diverse specie è più intelligente, prendendo, forse con “presunzione”, che l’essere umano sia il soggetto di riferimento più intelligente e soggetto centrale di questa comparazione.
L’intelligenza è una capacità che per esistere (ed essere visibile) deve possedere due elementi fondamentali: uno stimolo motivante e un soggetto nativo.
Stimolo motivante: qualsiasi soggetto che vivesse in un ambiente “statico” (senza stimoli), non avrebbe alcuna ragione di acquisire abilità per adattarsi. Adattarsi a cosa se l’ambiente è statico? Quindi da un soggetto non motivato non è possibile assistere all’esternazione di comportamenti intelligenti. Un soggetto è motivato quando possiede dei desideri (secondo la scala gerarchica di Maslow per esempio). Se vivessi in un ambiente dove ogni impulso istintivo più essere soddisfatto, non devo preoccuparmi del mangiare, non ci sono pericoli, non mi devo relazionare con nessuno,.. quasi sicuramente non dovrei acquisire nessuna altra capacità intellettiva.
Soggetto nativo: cosa dovrebbe spingere un computer a procurarsi da mangiare se non prova fame e desiderio di appianare questa sofferenza? Certo ha bisogno di elettricità ma il mondo che noi conosciamo non è nativo dei sistemi che vanno a energie elettrica. Per questo se inserisco un computer-robot in un ambiente naturale come quello della Terra, non assisterò mai alla visione di comportamenti intelligenti poiché il robot è soggetto estraneo all’ambiente. Non essendo il robot nato e sviluppatosi in quell’ambiente non possiede (per selezione naturale) quegli organi (mente compresa) adatti a percepire l’ambiente né possiede l’addestramento utile per adattarsi alle dinamiche dell’ambiente stesso. Oggi i robot possiedono sensori, telecamere, e mezzi meccanici motori e possono mostrare comportamenti “pseudo” intelligenti. Vengono addestrati (programmati) per giocare a calcio, riconoscere le persone e servirle il cocktail, per assemblare oggetti, per riconoscere il parlato umano e dare alcune risposte e imparare a muoversi in ambienti a loro non noti… ma se vengono trasportati in un ambiente diverso per i quali sono stati programmati non sanno esprimere alcun comportamento intelligente adattativo o risolvere problemi di sopravvivenza. D’accordo con i teorici evoluzionisti, ritengo che l’intelligenza di un soggetto si evolva con l’ambiente, quando il soggetto è nativo di quell’ambiente.
Non esiste intelligenza laddove il soggetto non possiede corpo e anima, intendendo con questo entrambi gli organi di input e di output.
Caso1: soggetto senza organi di senso (input). E’ un soggetto completamente isolato dall’ambiente e pertanto non in grado, ne predisposto a memorizzare, reagire, sentire e adeguarsi agli stimoli forniti dall’ambiente. Il soggetto potrebbe anche avere organi di reazione (output), ma le reazioni che esternerebbe, sarebbero valutate dal altri soggetti come “incomprensibili”, ovvero non legate ad alcuna stimolazione (azione/reazione; stimolo/risposta).
Caso2: soggetto con organi sensoriali ma senza organi di reazione (output). E’ un soggetto che potrebbe anche avere una sua intelligenza, potenzialmente capace di mettere in relazione più eventi e logiche di legame tra uno stimolo e gli altri. Peccato che la sua intelligenza non possa mannifeatrsi all’esterno per mancanza di organi di output.
Caso3: soggetto con anima e corpo: E’ il caso di tutte le specie del mondo animato, ma anche quello artificiale, con i quali è possibile legare causa ad effetto. In questo caso è possibile misurare l’intelligenza attraverso stimolazioni appropriate e analizzandone le rispettive risposte.
Riassumendo:
- L’intelligenza è un aspetto oggetto di studio e d’interesse della sola specie umana. Per questo motivo viene studiata per comparazione con l’essere umano.
- Non esiste ancora una definizione universale condivisa tra gli studiosi che comprenda esseri viventi (uomini, animali e vegetali) e sistemi artificiali.
- L’intelligenza si esprime solamente laddove esiste un soggetto motivato da desideri, all’interno di un ambiente che gli appartiene.
- L’intelligenza è espressione solo di chi possiede organi di input e di output
- Occorrerebbe definire quali sono i comportamenti da ritenersi intelligenti distinguendo i comportamenti istintivi e automatici da quelli in cui la riflessione è un processo ordinario.
- Occorrerebbe fare distinzione tra intelligenza di specie uguali (ISS) da quello tra specie diverse (IDS)