Le variabili

Prima di procedere alla stima del quoziente d’intelligenza tra esseri di specie diverse è d’obbligo fare alcune considerazioni preliminari per evitare fraintendimenti. Elencherò alcuni argomenti che riguardano gli aspetti dell’intelligenza  che per loro natura sono di difficile interpretazione.

  • L’istinto – Il primo aspetto che occorre stabilire è quello di decidere se un comportamento istintivo (geneticamente tramandato o acquisito) è da considerarsi espressione d’intelligenza oppure no.
  • L’uso di strumenti – La seconda considerazione riguarda la capacità d’uso degli strumenti quali:
    • La comunicazione – come strumento di sopravvivenza.
    • Le capacità motorie – come strumento motorio.
    • L’uso di oggetti – come strumenti per raggiungere uno scopo o risolvere una situazione.
  • Il tempo – Il terzo aspetto riguarda il momento in cui l’intelligenza si manifesta, ovvero stabilire se il comportamento nel suo svolgere darà risultati intelligibili immediati o dopo un certo periodo di tempo.
  • L’ambiente – infine occorre prendere in considerazione l’habitat all’interno del quale l’intelligenza si manifesta.

Questi argomenti contengono elementi che in qualche modo esprimono un valore dell’intelligenza dei soggetti . Peccato che tali argomenti siano difficilmente utilizzabili poiché non si prestano a una somministrazione controllata per verificarne un valore quantitativo.
Nonostante il presente studio possa essere utilizzato (in alternativa al QI) per lo studio dell’intelligenza tra soggetti della medesima specie (ISS), in questa sede mi limiterò esclusivamente a disquisire sull’intelligenza tra specie diverse (IDS) argomento più interessante dal punto di vista scientifico.
Prenderò in esame quattro soggetti di diversa specie:

  • i vegetali;
  • gli animali (di qualsiasi specie);
  • i computer (sistemi artificiali);
  • l’essere umano (come specie di riferimento e comparazione).

 
L’istinto
Esistono comportamenti che noi esseri umani definiamo “istintivi” e riguardano tutte quelle capacità di adattamento all’ambiente e risoluzione dei problemi che apparentemente nulla hanno a che fare però con l’uso del pensiero, del ragionamento e della riflessione. Similmente esiste anche un aspetto che riguarda l’eredità dell’informazione o capacità apprese per via genetica. Di recente Brian Dias e Kerry Ressker della università di Atlanta hanno scoperto che nei topolini, la paura di una scossa associata a un particolare odore viene ereditata nel cervello da almeno la metà dei discendenti, benché questi non abbiamo avuto in vita loro quest’esperienza (eredità epigenetica). Usain Bolt si può ritenere che sia geneticamente nato per diventare l’uomo più veloce del mondo. Willem Klein, conosciuto anche come Wim Klein, è famoso per saper eseguire a mente dei calcoli molto complessi. Può calcolare la radice quadrata di un numero di 216 cifre in meno di un minuto. Calcolò la radice 73.ma di un numero di 500 cifre in 2 minuti e 43 secondi. Una capacità che ha più della predisposizione genetica che non all’acquisizione di skill per apprendimento.


C’è chi sostiene che un’azione istintiva è da considerarsi una manifestazione d’intelligenza. Chi, al contrario, la considera qualcosa che poco ha a che vedere con tale proprietà. Eppure molte delle nostre scelte e decisioni (considerate consapevoli e intelligenti) passano sempre da un meccanismo inconscio, per lo più istintivo (acquisito o ereditato che sia), anche se (non sempre) vengono mediate dalla coscienza. Schivare improvvisamente un’auto è un’azione che non ha bisogno di lunghe deliberazioni per essere attuata. Lo è invece il trattenerci dal prendere a pugni l’autista che ci ha procurato questo spauracchio. Esistono reazioni istintive ereditate ma anche acquisite per addestramento (attraverso operazioni ripetitive). Quest’ultime sono quelle azioni che ci vengono di getto (d’istinto) ma che sono il risultato di un costante addestramento fatto di riflessione e consapevolezza., come imparare a giocare a tennis, pugilato, guidare un’auto. Possiamo non considerare quest’ultime, espressione d’intelligenza, o più correttamente derivate da essa? Oppure dobbiamo considerarle abilità derivate dall’uso dell’intelligenza, caratterizzate dal fatto di essere molto veloci nell’applicazione, tanto veloci da confondersi come quelle istintive (ereditate)?

Se prendiamo per buono che la definizione d’intelligenza sia sinonimo di capire, comprendere e quindi di apprendere dall’esperienza per adattarsi e non commettere lo stesso errore, allora è evidente che l’adattamento alle avversità ambientali, come fa la pianta, non significa propriamente “apprendere” (capire cosa è successo, verificare il da farsi e risolvere il problema ecc..), ma significa introdurre delle variazioni (sovente casuali di natura fisico/chimica) che la portano a risolvere il problema stesso. Difficilmente arriveremo mai a capire se un processo di mutazione di una pianta, che ha richiesto centinaia di anni, è frutto della riflessione. Spesso è la stessa evoluzione genetica a introdurre queste variazioni e non la pianta, in quanto soggetto intelligente, in modo consapevole e volontario. E’ la legge dell’evoluzione. E’ la teoria di Darwin in azione. Ci sono voluti moltissimi anni, forse secoli, perché il fagiolo del Perù, il Lima Bean, per risolvere i suoi problemi di sopravvivenza, “imparasse” a emettere sostanze chimiche volatili che attirassero acari carnivori affinché questi la salvino dall’attacco dei ghiotti acari vegetariani .


Resta evidente che l’istinto “positivo” deve essere una forma primitiva d’intelligenza senza la quale il soggetto non sopravvivrebbe e non avrebbe evoluzione sulla terra. E’ da notare che sopravvivono nel soggetto solo le azioni istintive utili, ovvero solo quelle che permettono al soggetto di procurarsi un vantaggio.
Se mai si volesse definire intelligenti anche i processi istintivi, accorerebbe allora distinguere tra l’intelligenza “primitiva” (quella che si sviluppa attraverso la genetica e l’evoluzione della specie) e intelligenza “superiore” (tutto ciò che non è primitivo ed è frutto della riflessione e dell’apprendimento). A differenza di quella primitiva, che può essere sia distribuita che centralizzata, l’intelligenza superiore sembra richiedere necessariamente una sede centralizzata delle funzioni, cioè un cervello. Uno dei motivi di tale differenzazione fisica, potrebbe essere dovuta alla questione legata alla “consapevolezza”: una proprietà emergente tipica dei sistemi complessi.

 
L’uso di strumenti
1) La comunicazione
La comunicazione è parte integrante dei sistemi intelligenti. Se non esistesse, nessuno sarebbe in grado di scoprire se un soggetto è intelligente. La comunicazione è un aspetto del comportamento: quella serie di azioni che un soggetto compie al fine di esteriorizzare un proprio stato interiore per relazionarsi con sé stesso e l’ambiente in cui vive. La comunicazione può essere verbale o non verbale.


La comunicazione è uno “strumento” e come tale, se usato correttamente, è un sistema per risolvere problemi, agire e adattarsi all’ambiente, modificare il corso di un evento o per apprendere.
Se prendiamo come dato inconfutabile che l’essere umano è il “soggetto” che più di tutti possiede un linguaggio di comunicazione ricco e variegato, rispetto a qualsiasi altra specie vivente, allora non è così sbagliato ritenere l’essere umano il soggetto più intelligente.


Quando due soggetti s’incontrano, ognuno a modo suo, comunica uno “stato” che se associato alla situazione in corso, consente a entrambi i soggetti di prendere posizione all’interno di tale circostanza. Il mio Golden, come incontra un altro cane, assume immediatamente un comportamento comunicativo di “remissione”: informazione che consente all’altro cane di avvicinarsi senza il timore di essere aggredito e serve al mio Golden per anticipare vantaggiosamente le proprie intenzioni al fine di prevenire eventuali situazioni di aggressione che lo cagionerebbero. Quando incontra un essere umano, egli cambia completamente strategia comunicativa. Si avvicina senza indugi all’uomo, iniziando a scodinzolare ripetutamente, attendendo di ricevere coccole e premi alimentari. La variabilità della comunicazione è utile a risolvere problemi all’interno di contesti diversi. E’ evidente che la comunicazione, come tutti gli strumenti, se non viene usata in modo adatto alla situazione può dare origine a reazioni svantaggiose.


Un comportamento di difesa, come quello adottato da molti animali è un comportamento comunicativo utile spesso alla propria sopravvivenza. Ad esempio il pavone gonfia tutto il piumaggio per apparire molto più grosso, il gorilla gonfia il petto, il cane che rizza il pelo e mostra i denti o abbaia a squarciagola.
La taccola (una specie imparentata con corvi e cornacchie), invece di usare segnali vocali (che potrebbero attirare predatori) usa lo sguardo per comunicare ai propri simili minacce. La capacità di comunicare attraverso lo sguardo le proprie intenzioni di protezione del nido è una delle modalità che tale uccello utilizza come mezzo di comunicazione .


Il pappagallo grigio africano è una specie che si trova nelle foreste pluviali dell’Africa centrale e occidentale. I pappagalli hanno da tempo dimostrato di saper imitare i discorsi umani, ma il pappagallo grigio è in grado di associare le parole ai loro significati e formare piccole frasi. Questi uccelli comunicano fra di loro attraverso canzoni, richiami e linguaggio del corpo. Il pappagallo grigio può facilmente essere addestrato a sostenere conversazioni e cimentarsi in diverse attività. È un bravissimo imitatore ed è in grado di ricreare voci e rumori in modo molto realistico. Un esempio è Alea: sa identificare più di quindici oggetti, sette colori, cinque forme e valori numerici fino a sei. Capisce la differenza tra grande e piccolo, sopra e sotto e ha anche dimostrato di provare sensazioni dicendo a chi lo stavo sottoponendo ai test “Devo andare via” ormai annoiato.

Degna di nota è anche la storia del pappagallo grigio di Nagarey, in Giappone, che era stato perso dai padroni e, ferito, era stato portato in un ospedale veterinario. Là l’uccello dichiarò al veterinario: “Sono il signor Yosuke Nakamura” fornendo anche l’indirizzo completo di casa. Era tutto esatto e il pappagallo fu riaccompagnato a casa, non prima però di aver allietato l’ospedale con canti e balli.


Il gallo comunica a tutte le sue amate galline l’arrivo di un uccello predatore nemico semplicemente accovacciandosi sul terreno ed emettendo un lieve ma acuto iiii.


Noi esseri umani sappiamo che il nostro vocabolario linguistico e comunicativo (tra gesti, parole ed espressioni semantiche) è tra i più ricchi tra tutte le specie animali.


La comunicazione uditiva, molto diffusa tra le specie animale ma presente anche nelle piante, ha il pregio di diffondersi a distanza e in multi direzioni e forse è questo il motivo per cui è la più utile dal punto di vista dell’evoluzione.


Uno studio della Eaeter University, ha già appurato che le piante parlano tra loro per avvisarsi della presenza di un pericolo. Lo fanno rilasciando dei gas che vengono captati dalle piante vicine e decodificati come un segnale di pericolo. Le piante non comunicano solo attraverso l’emissioni di sostanze gassose. Sono infatti in grado di ascoltare ed emettere suoni dalle radici. Lo rivela un recente studio della University of Western Australia pubblicato su Trends in Plant Science, curato da Monica Gagliano, Daniel Robert della University of Bristol e Stefano Mancuso dell’Università di Firenze. Quest’ultimi hanno scoperto che le radici delle piante di mais emettono e reagiscono a dei speciali suoni, simili a dei ticchettii a cadenza regolare. Sospese sull’acqua, le radici, tendono ad allungarsi verso una sorgente sonora, della frequenza di 220Hz, corrispondente a quella dei ticchettii. Il linguaggio delle piante è un mondo ancora in gran parte inesplorato.
Oggi, scopriamo anche che le piante sono in grado di comunicare tra loro attraverso molecole di RNA. James Westwood della Virginia Polytechnic Institute hanno scoperto una intensa comunicazione bidirezionale, con scambio di migliaia di molecole RMA tra pianta ospite e pianta parassita. Ciò che non si è ancora scoperto è che cosa le piante realmente si “dicono”.


L’aspetto della comunicazione è un elemento espressivo dell’intelligenza ma non meno importante della capacità di osservazione. Se l’osservatore non è in grado di rilevare l’abilità risulta evidente che non potrà mai essere in grado né di comprendere se l’abilità messa in campo è sinonimo d’intelligenza né di darne una valutazione qualitativa e/o quantitativa. Per questo, noi esseri umani facciamo spesso fatica a misurare il grado d’intelligenza di una specie diverse dalla nostra. Fortunatamente strumenti e tecniche ben congegnate possono venirci in aiuto per mettere in evidenza ciò che all’occhio umano non risulta immediatamente visibile esattamente come succede con lo studio delle invisibili particelle atomiche.

2) Le capacità motorie e articolari
Le articolazioni rappresentano, soprattutto per le specie animali, uno “strumento” e come tale viene utilizzato per risolvere problemi, agire e adattarsi all’ambiente e apprendere. Anche nelle piante le radici agiscono da articolazioni spostandosi nelle direzioni più vantaggiose alla ricerca di nutrienti. Lo stesso fanno i rami e le foglie che si orientano verso la miglior fonte di energia. Se si osservano le specie animali balza subito all’occhio come l’intelligenza sia legata alle capacità motorie e articolari. L’uomo che ha il, maggior numero di articolazioni motorie è la specie più intelligente seguita dalla scimmia, dal delfino; dall’elefante; dal corvo; dal Cane; dal Gatto; dal Maiale; dal Polpo, eccetera.


Le quantità delle articolazioni e delle capacità motorie sono importanti, ma lo sono tanto quanto l’abilità (qualità) di saperle usare. Le articolazioni sono strumenti e come tali sono un primitivo indicatore d’intelligenza. Questo non significa che chi ha maggior capacità motorie e articolazioni sia più intelligente di uno che ne ha meno. Le articolazioni sono strumenti del corpo che vengono gestite e coordinate dalla “mente”, che è l’organo più importante del soggetto intelligente. Anche un robot potrebbe essere costruito con migliaia di articolazioni. Se il cervello non è poi capace di gestirle in modo vantaggioso, rimangono inutili strumenti meccanici.

3) L’uso di oggetti
Oltre all’uso della comunicazione e delle articolazioni come strumenti utili al raggiungimento di uno scopo esiste anche l’uso di oggetti.
Esistono due modalità d’uso di oggetti materiali:

  • la capacità di usare oggetti esistenti
  • la capacità di costruirli.

Potremmo scrivere un libro intero su come animali e vegetali usano oggetti esistenti per il raggiungimento di uno scopo. Uno dei libri più ricchi di esempi su come il mondo animale usa gli strumenti è quello scritto da Benjamin B Beck (L’abilità tecnica degli animali). Anche i vegetali usano strumenti esistenti come formiche, api o altri animaletti per spargere quanto più possibile il loro polline e replicarsi, oppure per proteggersi dalla invasione di animali carnivori.


Esistono animali che modificano un oggetto o addirittura lo costruiscono per raggiungere lo scopo prefissato. E’ il caso dei Corvi che per estrarre da uno stretto contenitore del ghiotto cibo usano un filo di ferro. Dopo diverse prove fallite con l’uso del fil di ferro dritto, prendono il filo e lo piegano a uncino riuscendo cosi ad agganciare il cibo ed estrarlo dal contenitore. Le scimmie sono in grado di utilizzare due corti bastoni per realizzarne uno più lungo e idoneo al raggiungimento del premio.
L’uso di strumenti è legato anche a una maggior capacità motoria e quindi ad un indice d’intelligenza superiore, anche se è difficile calcolare il grado d’intelligenza di un soggetto utilizzando la capacità d’uso gli strumenti come variabile di studio.

 Il tempo
Uno degli aspetti che rende difficile analizzare il valore qualitativo e quantitativo di un comportamento intelligente, su un qualsiasi soggetto, è il tempo. Spesso alcune abilità e comportamenti non danno un esito immediato, ma si manifestano dopo un certo lasso di tempo, talvolta anche dopo anni. Questo è soprattutto vero nei bambini ma anche nelle piante che hanno tempi di reazione ed evoluzione molto lunghi. Pertanto certe abilità possono essere oggetto di studio scientifico (che di solito predilige risultati immediati) solo se queste hanno a che fare con soluzioni di problemi che forniscono una risposta nel breve periodo. Inoltre molte abilità di specie diverse da quella umana sono di difficile decifrazione e forniscono esiti con tempi ignoti, aumentando la probabilità di perdere l’esito della risposta per ragioni di imprevedibilità temporale.


E’ evidente che il tempo impiegato per trovare una soluzione soddisfacente è direttamente legato al grado d’intelligenza. Così come lo è anche per l’apprendimento. Chi risolve un problema velocemente è, in generale, più intelligente di chi ci impiega molto più tempo. Lo stesso dicasi per chi apprende velocemente un’istruzione. Il tempo è una variabile che non solo varia da specie a specie ma anche all’interno dei soggetti della medesima specie.


A differenza dell’uomo, il cane, non ha memoria storica di ciò che ha fatto poche minuti prima. Infatti egli difficilmente apprende di aver commesso una marachella se la punizione non è temporalmente legata al momento in cui si svolgono i fatti.


Studi effettuati sui primati hanno dimostrato che, in una gabbia dove erano rinchiusi alcuni primati ed erano presenti delle casse di legno, alcuni primati hanno impiegato qualche ora prima di giungere alla conclusione che potevano usare le casse di legno come scala per scavalcare il muro e uscire dalla gabbia. Alcuni di loro accatastavano le cassette per il lato più lungo allo scopo di realizzare una scala più alta. Altri identici primati hanno, invece, impiegato mesi per arrivare alla medesima soluzione. Un uomo avrebbe impiegato due minuti. Del resto è risaputo che all’interno della stessa specie esistono soggetti più intelligenti di altri. Il cervello è un “muscolo” e più allenato è, più potenza dimostra di possedere.

Possiamo raffigurare il cervello e i collegamenti sinapsici tra i neuroni come un muscolo pieno di fibre. Nel muscolo abbiamo fibre adibite al movimento “veloce” (che non hanno resistenza fisica) e altre adibite alla “resistenza” (che sono lente). C’è chi nasce con molte fibre veloci e poche fibre resistenti. Per lo stesso motivo esistono persone veloci e scattanti ma con poca resistenza e altre persone molto forti fisicamente ma alquanto lente nello scatto. C’è chi arriva alla soluzione velocemente, c’è chi ci arriva molto tempo dopo. C’è chi è intelligente ma incapace di concentrarsi su un problema per troppo tempo (resistenza) e altri che sono capaci di stare concentrati per molto tempo ma meno intelligenti.

Pur consapevole che il tempo è un indicatore dell’intelligenza, ritengo che possa essere fuorviante utilizzare tale parametro per ricavarne un indice. Può capitare, infatti, che un animale, poco intelligente, arrivi in una sola prova alla immediata soluzione (in pochi istanti), semplicemente per puro caso, addirittura più velocemente di un essere umano. Occorre utilizzare il tempo sulla base di prove ripetitive e diversificate.

 L’habitat
Mi sono permesso di suddividere l’habitat in due categorie: quello proprio della specie animale/vegetale e quella dei sistemi artificiali. Il motivo principale di questa distinzione deriva dal fatto che quello della specie animale è un ambiente nato da un’evoluzione naturale durata milioni di anni mentre quello artificiale è un habitat che non si è ancora evoluto.


L’ambiente delle specie
Tutti i soggetti intelligenti, noti alla scienza, vivono all’interno di un ambiente “naturale”. Un ambiente a loro favorevole all’interno del quale il corpo e la mente si sono evoluti. L’habitat è l’elemento che definirei essenziale, per lo sviluppo delle capacità intellettive.


Se prendiamo per buona la definizione secondo la quale l’intelligenza è una capacità, (capacità di adattamento all’ambiente e risoluzione dei problemi) quest’ultima non può essere che una qualità appresa all’interno dell’ambiente in cui il soggetto è nato: proprietà che chiamiamo sovente con il nome “esperienza” (ovvero, dal dizionario Garzanti: conoscenza pratica della vita o di una determinata sfera della realtà, acquisita con il tempo e l’esercizio).


E’ evidente che quando parliamo di evoluzione parliamo di un insieme completo che comprende l’ambiente e i suoi abitanti. La relazione che c’è tra l’ambiente e abitanti è strettissima perché l’uno evolve l’altro. L’ambiente si adatta agli abitanti cosi come gli abitanti si adattano all’ambiente.

L’habitat dei sistemi artificiali
Nell’ambito dell’intelligenza artificiale, l’habitat dei sistemi digitali è costituito da software come ambiente operativo e hardware come corpo fisico (come si noterà la mente, cioè l’intelligenza, è insita nel software ovvero nell’ambiente e non nel corpo come dovrebbe essere).


Alla IBM hanno creato SyNAPSE, alla Heidelberg University BrainScales, all’Università di Stanford Neurogrid: tutti circuiti neurali basati su un’architettura multi processore a intenso parallelismo in grado di simulare milioni di neuroni interconnessi tra loro da miliardi di sinapsi. Peccato che non sia servito ancora a molto. Lo stesso direttore del progetto Neurogrid, Kwabena Boahen, ammette … “Il problema principale è che nessuno sa come usare tutti questi microprocessori in parallelo”.


Si chiama K, invece, uno dei computer più potenti al mondo, installato in Giappone all’’Advanced Institute for Computional Science, con oltre 700.000 processori e 1,5 milioni di Gigabyte di memoria RAM. Nonostante questo K, programmato con il software NEST (Neural Simulation Technology) capace di replicare quasi 2 miliardi di neuroni interconnessi da 10.000 miliardi di sinapsi, ha impiega oltre 40 minuti per riprodurre l’1% percento delle attività che un cervello umano svolge in un secondo.


Difficilmente un Computer, proseguendo per le strade intraprese oggi dall’IA, potrà esprimere una “naturale” intelligenza, nonostante tutti gli sforzi compiano gli scienziati per simulare (ecco la parola corretta) un sistema intelligente. I robot, per quanto sofisticati vengano realizzati, per quanti microprocessori paralleli, reti neurali e per quanta capacità computazionale “indossino”, non diventeranno mai soggetti autonomi in grado di esprimere intelligenza vera (e non simulata). Rimarranno sempre “istintivi” esecutori di programmi informatici ed equazioni logico/matematiche.


Sarà così fino a quando non si cambierà approccio verso un nuovo paradigma. Sono convinto che un sistema digitale per diventare intelligente necessiti di un habitat digitalmente più “naturale” di quello di oggi, meno matematico e deterministico, all’interno del quale software e hardware sono progettati in modo integrato: un ambiente virtuale all’interno del quale operano soggetti “virtualmente nativi”. Secondo una prospettiva evoluzionistica, ogni specie vivente sviluppa sensi, organi, mente e comportamenti, congeniali all’adattamento all’ambiente in cui nascono. La selezione naturale elimina ciò che non è adatto e mantiene ciò che funziona. Questo non avviene nei sistemi di IA.


Negli ambienti naturali l’hardware (cioè gli organi) degli esseri viventi non sono protesi presi da pezzi di altre specie, ma sono parti “evolutesi” all’interno di un sistema “unico e integrato”: organi in grado di rispondere alla fisica dell’ambiente. In altre parole hardware e software devono essere molto più integrati tra loro di quanto non lo siano oggi. Nell’attuale ambito della IA si impiegano sensori (come le telecamere, per esempio) che sono corpi estranei a un processo d’integrazione ed evoluzione-ambiente virtuale. Sono convinto che lo studio dell’IA, prima di applicarsi all’integrazione hardware e software, dovrebbe, per semplicità, passare da sistemi integralmente software, all’interno dei quali “soggetti” virtuali software, provvisti di sensi virtuali, progettati per un ambiente virtuale, rappresentano un sistema completamente embodied (incarnato).